Facebook, il jazz e una carrozzella

Annarita Romito

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La Storia

Francesco e Anna Rita si sono conosciuti su Facebook. Lei ha letto un suo post, in cui si lasciava andare ad amare considerazioni in merito a un episodio personale che lo aveva turbato.

Rita fu colpita: sentì risuonarle dentro qualcosa. Rispose esortando questo sconosciuto a non sentirsi depresso. “È naturale che una profonda delusione provochi in noi un sentimento di amarezza. Ma deve passare, non bisogna mai fermarsi, arrendersi”. Le parole di Anna Rita hanno toccato così tanto Francesco da spingerlo a scrivere di nuovo. Lei ha replicato con un altro messaggio e via di seguito, finché Francesco le ha proposto: “Vediamoci.”

“Galeotto fu quel post” mi scappa detto. “Mi sono innamorato di lei in tre giorni”, confessa Francesco. Anna Rita intanto sorride e guarda Francesco di sottecchi. Lui avverte l’occhiata ma continua, senza guardarla: “E sì che la prima volta che l’ho vista non la potevo sopportare. Un tipo impossibile. Sì, m’era proprio parsa un’antipatica, arrogante, insomma, una donna da cui stare lontano, sai quelle tutte impegnate, quelle che si danno un gran daffare. E poi, quel suo jazz! Io non lo sopportavo. Io ho l’anima punk; io canto pop e blues e mi piaceva cantare solo quello. Non sopportavo quella musica che faceva lei.”

“Vedi” – mi fa Anna Rita – “quando avevo 18 anni, ho cominciato a prendere lezioni di canto al Pentagramma di Bari. Ci sono rimasta tredici anni a studiare anche composizione, arrangiamento e impostazione vocale. Poi ho conosciuto il jazz. Ho avuto grandi maestri a cui sono affezionatissima. Queste persone sono state per me non solo musicisti: m’hanno insegnato a vivere e a credere nella vita.”

Adesso Francesco afferra la chitarra e comincia a cantare una melodia su cui s’innesta la voce scura, da jazzista, di Anna Rita. Cantano insieme e danno l’impressione di un grande affiatamento. Sono entrambi protagonisti in questo duetto: nessuno è la spalla dell’altro.

Entrambi svettano, primeggiano ma non confliggono, non s’oppongono, non s’ostacolano. D’altronde lo si capisce: sono appena otto mesi che stanno insieme e l’amore bambino è travolgente e pretende una continua, prepotente intimità. È tangibile che queste due persone stanno condividendo qualcosa di profondo, con un’intensità che colpisce molto più della musica. Quando smettono di cantare, subito le loro voci s’intrecciano, si sovrappongono, si mischiano. Si prendono in giro, si stuzzicano come solo gli innamorati sanno fare, preservando l’armonia di fondo.

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Anna Rita ha pubblicato un libro: “Tina e Frida. Creacion y vida”, dove appaia due straordinarie figure femminili.

“In un terribile incidente Frida Kahlo, – racconta – fu trafitta come nemmeno San Sebastiano. Un palo diventato una lancia la trapassò da parte a parte. Ma non l’uccise. Frida per lungo tempo fu immobilizzata a letto, non più in grado di muovere le gambe, di sentir vivere la parte inferiore del suo corpo. Quel terribile incidente compromise per sempre la sua salute. Ma non per questo Frida perse la sua vitalità, la sua forza creativa. Per lei l’arte e la cultura furono un mezzo di riscatto. Per lei pittrice, poetessa e scrittrice la menomazione fisica non compromise mai la potenza della sua creatività.

“E Tina?” chiedo. “Tina Modotti è stata la prima reporter donna. Lei andava in giro fotografando le mani della povera gente. Nel rappresentarle nella loro cruda semplicità, ha testimoniato la fatica del vivere, il dolore e la sofferenza dei più disagiati. Pur focalizzandosi solo sulle mani, solo su una parte del corpo della persona, faceva emergere tutto l’insieme, tutta la persona, senza bisogno di coglierla intera”.

Questa attenzione al particolare, alla scissione da una parte e al dolore dall’altra, sono una costante nei pensieri e nelle azioni di questa coppia di giovani artisti. Entrambi, pur provenendo da ambiti diversi, si impegnano a nutrire l’anima (propria e di chi sta loro intorno). Entrambi sono profondamente convinti che nel profondo ciascuno di noi abbia un talento che magari serva a compensare qualche limite. Il più sta nell’accettare ciò che non puoi ignorare, perché solo allora tutto questo diventa un’importante risorsa. La disabilità non è una malattia: Francesco con orgoglio canta “Oggi si vive molto di effetto ma poco d’affetto”, mentre Anna Rita s’impegna a progettare una sfilata di donne belle e disabili.

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La disabilità non è un limite fisico: Rita è presidente dell’Associazione Culturale Diversart di Bari.

“Stai bene attento”, mi fa decisa: “Questa struttura non è un ente assistenzialistico. Noi che ne facciamo parte sappiamo e vogliamo vedere l’uomo, oltre l’invalido. Noi vediamo la persona. Noi testimoniamo che il disabile non è un ammalato, è altro. Dietro la disabilità c’è, ci deve essere, vogliamo che ci sia un progetto di vita”.

Francesco continua: “Le barriere architettoniche sono prima di tutto un problema culturale: come pensiamo lo spazio, come progettiamo l’arredo urbano, come permettiamo l’accessibilità ai servizi. Per una persona normodotata uno scalino è, al più, un inciampo o una seccatura. Per l’invalido è ben altro, purtroppo.” “Bisogna indignarsi” – prosegue Anna Rita – “ quando vedi che non ci sono scivoli sui gradini dei marciapiedi, oppure che gli autobus non sono utilizzabili per chi si sposta in carrozzina. Gli unici invalidi che conosco sono certi arroganti urbanisti o amministratori pubblici che non tengono conto delle esigenze delle diverse persone. È in quelle menti, non sufficientemente attente, che nasce la barriera.”

“Talvolta” – dicono insieme – “la famiglia è un vero carnefice. Sopraffatti dalla vergogna i “sani” nascondono l’invalido, proprio come si faceva una volta con i vecchi quasi dimenticati dentro le case, che tanto la loro vita l’hanno vissuta. Per fortuna oggi questo fenomeno si sta dissolvendo, ma non bisogna smettere di scuotere le coscienze. Anche la scuola può fare molto. Educare significa promuovere la contaminazione, l’accoglienza di diversità, l’elaborazione di paradigmi ulteriori.”

Marzia, mentre parliamo, s’impegna con la sua macchina fotografica a trovare inquadrature sempre più efficaci che possano, attraverso la forza delle immagini, arricchire la testimonianza di questi due amici. Per riuscirci adesso è distesa in terra. Ho un obiettivo, dunque sono, sembra che mi dica. Il limite diventa una risorsa. Questo è per me il significato della rivoluzionaria carrozzina che Francesco ha progettato per sé.

Forse non è un caso che sia l’arte il terreno prescelto da entrambi per entrare in contatto con il mondo. Anna Rita fa anche teatro ma entrambi compongono, suonano e incidono. La musica è una lingua universale che non conosce barriera territoriale, linguistica, artistica. La musica costruisce ponti come Anna Rita e Francesco hanno imparato a fare per abbattere l’unica invalidità insormontabile: l’ignoranza.

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Da sempre realizziamo montascale per consentire libertà di movimento ai nostri clienti. Dall’ascolto dei loro racconti nasce il progetto Stannah Racconta, una raccolta di storie di uomini e donne straordinariamente ordinari.

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