L’artista del restauro, che si ispira ai panni stesi

Francesco Carbotti

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La Storia

Adagiata davanti ai nostri piedi è distesa una straordinaria figura. “È una Madonna di Luca della Robbia?” chiedo a Francesco Carbotti, l’architetto che mi ospita nel suo studio di Grottaglie. Lui sorride e non mi risponde.

Lo smalto bianco, candido del volto, sembra illuminare lo spazio tutt’intorno e il blu del mantello adagiato morbidamente sulle spalle della Madonna, attira la mano per sentirne la morbidezza.

L’altorilievo, grandissimo, è adagiato sul pavimento: delicate e innumerevoli tessere d’oro contornano la figura. “Un mosaico davvero prezioso” commento. “Sì, se guardi bene, vedi lì? Quelle tesserine più piccole sono di platino”. Adesso, finalmente, capisco: questo non è un Della Robbia; è un Carbotti, quarantasettenne artista pugliese, contemporaneo del celeberrimo fiorentino vissuto nel quindicesimo secolo. Quest’opera meravigliosa, ormai terminata, verrà presto esposta presso il suo committente. Assumerà finalmente la posizione verticale che le compete e gli occhi della Madonna guarderanno chi l’osserva lasciando scorgere un tenue azzurro che ora, da questa posizione, appena s’intuisce.

La figura è posata a terra, che per l’artista che ci lavora chinato sopra da due anni e mezzo, è l’unica possibile. L’osservatore è travolto dallo splendore dei cromatismi, ma non sa cogliere la profondità dell’espressione. E qui comincio a capire la differenza fra lo sguardo dell’artista e lo sguardo di una persona comune. La differenza fra chi guarda beandosi gli affreschi della Cappella Sistina e lo sguardo di chi quella l’affrescò.

Francesco non sale mai in cattedra, ma quando comincia a parlare d’arte è come se davanti a lui comparisse una platea con dozzine di volti di ascoltatori estasiati.

“Lo sai in quali condizioni Michelangelo lavorò per affrescare la Cappella Sistina? Per quattro anni mantenne pose innaturali, contorte, disteso su assi di legno per dipingere la volta che incombeva su di lui. Come credi, terminata l’opera, potesse tornare a guardare davanti a sé? Tu adesso vedi l’opera dal punto di vista di Michelangelo”.

Lo guardo e mi lascio penetrare dalle sue parole, che mi seguono mentre osservo un’altra sua creazione: un Cristo sulla croce. Ammaestrato dalle parole di Francesco pongo mentalmente in verticale quest’opera, distesa adesso anch’essa a terra per essere completata. Allora la bellezza di ciò che guardo, comincio a vederla di più. Lo smalto bianchissimo di questo corpo, asciugato dalla sofferenza, riesce a mostrare tutta la sua forza. Francesco mi parla della materia che ha utilizzato, della tecnica complessa che ha dominato, di come abbia poi scavato il corpo dall’interno affinché, nella successiva cottura, non subisse rotture.

Osservando un’opera d’arte quando è ancora condivisa solo dal suo creatore, l’occasionale visitatore ha il privilegio di scoprire dettagli e particolari che, nella rappresentazione finale, sono fusi nell’insieme.

Osservando un’opera d’arte quando è ancora condivisa solo dal suo creatore, l’occasionale visitatore ha il privilegio di scoprire dettagli e particolari che, nella rappresentazione finale, sono fusi nell’insieme.

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Che cos’è un artista allora? Francesco ha le idee chiare: “L’arte è arte solo quando è universalmente riconosciuta. Per questo occorre possedere la tecnica, avere la competenza, il saper fare; occorre anche il sapere tout court, la cultura in cui inquadrare il particolare in un contesto più ampio che lo accolga e lo giustifichi. E infine il talento”.

Su questo punto Francesco, uomo di grande fede, abbassa gli occhi e fa un’affermazione spiazzante. “È Dio il vero Artista”.

Saliamo sulla cupola di San Francesco de Geronimo e qui l’architetto Francesco mi mostra un’altra delle sue opere. La chiesa, edificata alla fine del XVII secolo, presenta una cupola che – contrariamente agli impianti ecclesiastici realizzati su croce greca oppure su croce latina – s’erge sul davanti dell’edificio, anziché sul retro. Ciò è dovuto alle case preesistenti che circondano la chiesa e che sono state salvaguardate. Sicché, per garantire la saldezza della struttura, gli architetti dell’epoca hanno dovuto adottare specifici accorgimenti fra i quali appunto una diversa collocazione della cupola.

Recentemente sono state scoperte lesioni sulla cupola, che hanno convinto le Autorità a porre rimedio con interventi conservativi, volti a restituire la bellezza assicurando la massima sicurezza. Francesco, incaricato dall’Ordine dei Gesuiti, proprietari dell’immobile, s’è trovato di fronte una sfida difficilissima. Restaurare talvolta può far correre il rischio di snaturare l’originario aspetto dell’insieme. Voler conservare a tutti i costi, tuttavia, può essere riconosciuto lo stesso come un atto ideologico e, alla fine dei salmi, altrettanto contro natura.

Che fare quindi? Il regime di vincoli era elevatissimo e soprattutto altissima la difficoltà tecnica.

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Ed ecco allora scendere in campo l’artista rinascimentale che sperimenta con le mani, modella l’argilla, cuoce nel forno l’opera, studia l’accostamento di materiali diversi e sa intuire nuove possibili combinazioni perché, l’artista appunto, combina tecnica, cultura e talento.

Francesco ha utilizzato la fibra di carbonio che ha fasciato come un tessuto intrecciato la cupola, rivestendo poi il tutto di una resina epossidica che assicura leggerezza e stabilità all’insieme. Come rivestimento poi ha prima progettato, e poi fatto realizzare da un’azienda di Reitano (Messina) delle scandole scanalate nei colori tradizionali della ceramica del luogo. L’insieme, in via di completamento, è stato assicurato senza chiodi che potessero fermare le scandole alla cupola.

“E come hai fatto?” sono sbottato? “Vedi quella fascia proprio sotto il lanternino (quella costruzione svettante sopra la cupola?) Da lì partono delle pinze che assicurano una per una le migliaia di scandole necessarie”. A cose fatte la soluzione sembra semplice, perfin banale … “Ma come t’è venuto in mente?” “Osservando mia madre stendere i panni ….” . A parte gli scherzi, per assicurare stabilità al tutto, ho posto degli agganci non fissi ma che abbiano la possibilità di piccoli spostamenti …. In questo modo si riesce a compensare le deformazioni dovute all’assestamento strutturale e alle sempre possibili variazioni termiche”.

L’architetto, l’artista, l’uomo convivono nella stessa persona: la tecnica, la cultura e il talento nascono dall’osservazione attenta, dall’ascolto partecipe e dall’umiltà, ovvero dalla perfetta aderenza all’aspetto pratico, applicativo con la quale Francesco si avvicina alle cose. “Prima del Rinascimento non c’erano architetti: esistevano capi cantiere, maestri che avevano imparato la cosa più complicata di tutte. Come si possono sollevare i carichi? E nota bene, loro all’epoca nemmeno disponevano di quelle basi matematiche, senza le quali oggi noi non potremmo costruire alcunché. Ma avevano gli occhi e un grande cuore.” La matematica oggi è lo strumento che Francesco sa dominare: la mente logica, razionale, puntuale e precisa è il pilastro indispensabile su cui lui poggia fantasia e creatività, di cui la natura lo ha benignamente e profusamente dotato. Scesi dalle impalcature ho un attimo di smarrimento: accanto a me vedo un uomo che indossa un farsetto su calze l’una di un colore, l’altra di un altro, che gli fasciano le gambe. Sta guardando in alto, verso la sommità della cupola. Adesso conviene tacere: di certo è impegnato a scoprire come può donarci altra bellezza.

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Da sempre realizziamo montascale per consentire libertà di movimento ai nostri clienti. Dall’ascolto dei loro racconti nasce il progetto Stannah Racconta, una raccolta di storie di uomini e donne straordinariamente ordinari.

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