Alla ricerca del batik. Da insegnante a ricercatrice di tesori in Estremo Oriente

Laura Todeschini

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La Storia

Incontriamo pieni di curiosità una vivacissima signora milanese, colta e raffinata, appassionata ricercatrice della tecnica batik. “Ricercatrice e non collezionista” tende a sottolineare con forza a Paolo e a me, suoi ospiti nella sua straordinaria casa ricavata da un ex complesso industriale in un angolo di Milano restituito, grazie ad un intelligente restauro, a una bellezza un po’ appartata e forse per questo ancora più suggestiva.

Mentre apre armadi e bauli, stipi e scatoloni, tira fuori stoffe affascinanti, che ci mostra entusiasta. Sono una quantità incredibili di stoffe recuperate nei suoi innumerevoli viaggi in estremo oriente. “Dietro ogni drappo di stoffa c’è una persona, la sua vita, i suoi sogni. Questo io vado ricercando. Le vite degli altri. Le vite non si collezionano: si scoprono, si studiano, si approfondiscono per farle continuare a vivere con noi.”

Di vita la signora Laura è davvero appassionata. “Laureata in Storia dell’arte, ho insegnato per tanti anni. Ma ancora una volta ciò che m’appassionava erano le vite dei miei alunni, più che la materia da insegnare. Con loro la storia riviveva. Negli anni settanta, quando l’immigrazione dal sud era formidabile, ho in classe un bambino calabrese. Non parlava italiano. Non ci capiva né noi riuscivamo a capirlo. Molti miei colleghi insegnanti erano in grave difficoltà con lui. Non sapevano come prenderlo e soprattutto come farlo studiare.

Ebbi un’idea: lo pregai di disegnarmi il luogo da dove veniva, la sua casa, la campagna d’intorno, le bestie; insomma di descrivermi la sua vita attraverso le immagini, in fondo la forma di comunicazione più immediata. Questo bambino disegnò un album pieno di immagini, vive, colorate, dove palpitava il suo mondo. Grazie a questa intuizione riuscimmo noi del corpo docente a trovare una strada per integrarlo nel suo nuovo contesto abitativo e scolastico”

“Dalla scuola al batik. E’ stata una lunga strada?”

“Non particolarmente. I miei nonni, i miei genitori vivevano all’estero, in casa si parlava francese. Tutti erano abituati a viaggiare e ad abbracciare usi e costumi diversi. Da ogni viaggio i miei parenti riportavano cose fantasmagoriche. Io soprattutto dalle stoffe ero attratta” “Quindi era un destino predefinito quello che l’attendeva?” “Non so. Quel che ho fatto è stato cominciare a viaggiare, dapprima timidamente, per periodi ragionevolmente contenuti. Poi sempre più frequentemente e con soggiorni più lunghi. Finché un bel giorno, al termine di un periodo sabbatico, lascio definitivamente la scuola e l’insegnamento per andare in Indonesia.” “E’ lì che s’imbatte nel batik?”

“E’ lì che comincio a studiarlo più a fondo. Il batik è una tecnica che serve a colorare i tessuti.”

“Come si fa?” “Bisogna coprire quelle zone che si vogliono lasciare non colorate con della cera, talvolta con l’argilla, con la resina. Insomma con materiali che impermeabilizzino la stoffa come l’amido, come le paste vegetali”

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“Chi fu il primo a scoprire questa tecnica?”
“Adesso le parlo di una delle tecniche. Questa è la tecnica della “tintura a riserva”. Forse la scoperta avvenne per caso come successe a Fleming il quale, di ritorno da una breve vacanza, notò che in una capsula c’era un alone chiaro, una specie di muffa. In quella zona i batteri non erano cresciuti. Quindi ritenne che la muffa uccidesse i batteri.

Fatto si è che i primi tintori s’accorsero che delle macchie di grasso o di cera impedivano al colore del bagno di tintura di penetrare. Da lì invece che subire questo fatto decisero di provocarlo”.

“E come, per esempio?”

“Ha presente la trama e l’ordito? Bene: provi a prendere una matassa e la leghi stretta, stretta. Quando la macchina scorre sul filato bagnato dal colore, questa lascia delle righe non tinte sulla stoffa” “Quindi il tessuto può essere di diversa natura?” “Certamente: pensi ai lini del IV secolo avanti Cristo. Le bende per le mummie venivano prime imbevute di cera e poi graffiate con stili appositamente appuntiti, tinte con le misture volute ed infine lavate con acqua calda per eliminare la cera” “Conosce altre zone del mondo dove questa tecnica s’è diffusa?” “Di certo in Cina, in India e anche in Giappone in un’epoca fra il 500 e il 1000 dopo Cristo”

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“Di solito nei mercatini si vedono anche ragazzi africani che ti offrono batik. E’ possibile che questa tecnica sia stata conosciuta anche in Africa?”
“Per quel che ne so, di sicuro in Nigeria ed in Senegal”
“Ma lei s’è innamorata dell’Indonesia, non è così?”

“E’ vero. E lì che il batik ha raggiunto una grande raffinatezza tecnica. E grazie agli Olandesi che di quelle zone erano padroni e successivamente grazie alle Esposizioni Universali, il batik indonesiano viene conosciuto dappertutto”

“Ma queste stoffe adornavano solo il corpo dei ricchi benestanti?”

“No, no: la tecnica batik attraversa le classi sociali. Certamente all’inizio furono i nobili che ne beneficiarono ma poi questa tecnica prese piede e si diffuse trasversalmente in tutta la società giavanese e più in generale in tutto l’arcipelago indonesiano. Attraverso le colorazioni e le simbologie utilizzate si connotano momenti della vita quotidiana per valorizzarne i momenti più significativi”

“Per esempio: un matrimonio?”

“Si, ma non solo: la nascita e la circoncisione, la malattia e la morte”

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Da sempre realizziamo montascale per consentire libertà di movimento ai nostri clienti. Dall’ascolto dei loro racconti nasce il progetto Stannah Racconta, una raccolta di storie di uomini e donne straordinariamente ordinari.

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